VISIONE, DESIDERIO, LIBERTÀ
“La liberazione non è sempre la libertà sognata”. Inizialmente non capivo, come può la liberazione non essere la libertà che una persona, costretta a vivere in segreto, sogna? A maggior ragione se, come Don Primo Mazzolari, si è stati obbligati a vivere in clandestinità, nascondendosi per mesi, senza poter vivere come un normale essere umano, senza avere contatti con altri essere umani...
Nonostante la libertà preclusa a Don Mazzolari, quest’ultimo conclude il “Diario di una primavera” il 25 aprile, considerato per l’appunto la Giornata della Liberazione per noi italiani, con questa frase. Questo mi ha fatto intendere che quindi per Mazzolari la libertà che ha ricevuto non è stata quella che lui desiderava. Magari le sue aspettative erano altre, o più probabilmente ciò che per gli altri è stata la libertà, non lo è stata allo stesso per lui. Lui non si sente libero, non ancora, non da se stesso e da quelle mura che l’hanno circondato per mesi, per questo afferma che la libertà sognata non per forza è congruente con la liberazione.
Prima che esista una vera e propria liberazione, quest’ultima comporta uno stato di “cattura/prigionia”, poiché non si può essere liberati se prima non si è stati rinchiusi. Forse la libertà che sogna Mazzolari è una libertà che ci guadagniamo grazie alle nostre forza, una libertà “attiva”, e non subita. C’è un fascino, un orgoglio, una bellezza ed una soddisfazione quando riusciamo ad uscire da una situazione, che ci ha visto quasi soffocare, senza dover rivolgersi a qualcosa di esterno, facendo tutto con le proprie mani. Ma come detto precedentemente per essere liberati o per liberarsi bisogna aver conosciuto uno stato di reclusione, e per come avverto io questa frase, credo che Mazzolari, mentalmente, non sia mai totalmente uscito dalla sua “prigionia”.
Io nella frase scritta da Mazzolari percepisco delusione. Un’aspettativa troppo alta che non è stata raggiunta? Non lo so, so solo che, personalmente, leggendo questa frase ho capito che Don Primo Mazzolari si aspettava una conclusione diversa a questa nostra pagina di storia, o probabilmente la libertà che aspettava di assaporare un giorno non è stata la stessa che ha poi trovato, anzi chissà se l’ha mai trovata, se si è mai sentito realmente libero, senza catene, dopo la guerra e dopo la sua vita condannata alla clandestinità durante quel periodo.
Ho associato l’idea di libertà alla mia tematica, e sono giunta alla conclusione che il sentiero della bellezza della libertà è proprio il percorso, spesso tortuoso, crudo, lungo e doloroso, che bisogna fare per raggiungere la tanto sognata libertà. Paradossalmente in tutta la fatica che bisogna compiere c’è una bellezza, c’è un fascino e un orgoglio che solo chi ha lottato in prima persona può comprendere. In tutto, o quasi tutto, ciò che facciamo c’è un sentiero, una strada, da percorrere, e quando raggiungiamo la fine o la nostra meta, siamo pervasi da un piacere e da un orgoglio che ci inebria.
La libertà, che ci venga data o che venga conquistata da noi, comporta sempre un prezzo da pagare, una strada lunga da fare. La libertà non è banale, e questo bisogna ricordarlo a noi che ora viviamo quotidianamente liberi, bisogna preservarla, curarla e custodirla. Altrimenti dovremo limitarci a sognarla e ad immaginarla da una finestra come Mazzolari fa nel suo diario.
Lui la libertà la sogna, la vede con l’anima. La identifica nelle piccole cose, come la sporcizia dei bambini che lui definisce “un documento di libertà”, come se fosse l’identificazione di questa libertà. Lui vede nella vita del bambino una naturalezza ed una spensieratezza che sommate creano un’idea pura di libertà, e non contaminata dalla cattiveria dell’uomo, che distrugge sacrilegamente la bontà che la natura e la primavera ci donano.
Ma soprattutto lui non vede solo con gli occhi, lui osserva col cuore. Questo lo sottolinea molte volte nelle sue pagine di diario, evidenziando il fatto che senza amore, senza cuore è come “guardare senza vedere”. Quando il nostro occhio è stanco, privo di forze, è anche senza amore, ed è per questo che tutto ci appare spento, offuscato, senza vita, perché la vita manca in noi.
In quei lunghi mesi di clandestinità, lui ha avuto modo di osservare attraverso la piccola finestrella presente nella stanza, ma soprattutto ascoltare. Ascoltare per poter guardare. Vedere attraverso l’ascolto. Questo è ciò che fa Don Mazzolari quando anche quella piccola finestrella, che era la sua porta col mondo, deve rimanere socchiusa: ascolta. Immagina. Sogna. E scrive. Interpreta le voci che sente, i suoni e i rumori della natura e quando può intravede dalla finestra il mondo. Mazzolari dice che le cose che appena si intravedono sono le più belle, come la felicità. Sono d’accordo. Se queste piccolezze le intravediamo, non possiamo abusarne, e di conseguenza esse mantengono la loro essenza speciale. Della felicità non bisogna abusare, altrimenti essa perderà il suo valore, e l’euforia che prima provavamo si trasformerebbe in monotonia. Della libertà non bisogna abusare, perché se ci venisse tolta non sapremmo più reagire. Del mondo non bisogna abusare, perché tale bellezza può, in un momento come in quello di Don Primo Mazzolari, essere l’unica stella in un cielo nero, l’unica speranza che ti tiene a galla.
Ma come Mazzolari sostiene, le stelle per splendere hanno bisogno del buio, come il bene dà rilievo ed esistenza al male. Alla fine, anche se opposti, uno ha bisogno dell’altro per esistere. E anche questa è una forma di bellezza, paradossalmente per far sì che esista un’idea di libertà, deve conoscersi anche un’idea di reclusione, di prigionia. Per far sì che esista l’idea di pace, si deve conoscere anche la guerra. È un paradosso, sì, ma ogni parola per avere appieno un significato deve avere anche il suo contrario, ed entrambe vivono grazie all’esistenza dell’altra. Se noi non sapessimo cosa fosse la guerra, non potremmo conoscere cos’è la pace, perché essa sarebbe per noi una quotidianità. E così è per tutte le parole di ogni lingua. Questa è il potere e la bellezza della lingua che, se ben usata, può far breccia nel cuore di ogni singola persona. E la cosa ancor più affascinante, a parer mio, è il fatto che essa sia in continua evoluzione, che il suo “sentiero” non si concluda mai, o che comunque, anche se si “concludesse”, non verrà dimenticata da chi non vorrà dimenticarla.
Ho amato la scrittura di Don Primo Mazzolari. Non tante parole, scarne e distillate in confronto a libri scritti da grandi autori, ma che sono state scelte in tal modo da insinuarsi subito dentro il lettore, o almeno dentro di me. Molte frasi sue le ho rese mie, le ho sottolineate, me le sono memorizzate.
Spero che le riflessioni frutto della sua scrittura siano un minimo all’altezza delle frasi che ho scelto come pilastri del pensiero. E spero soprattutto di essere all’altezza della frase che ho scelto di integrare anche nel mio percorso d’esame.
Don Primo Mazzolari mi ha insegnato a guardare col cuore, e non solo con gli occhi. A guardare tramite l’ascolto. Ad amare la semplicità e le cose intraviste di sfuggita. Mi ha insegnato a vivere amando.
Ecaterina Gidioi