I VOLTI SENZA NOME DELLA GUERRA
"I ragazzi delle scuole imparano chi fu Muzio Scevola o Orazio Coclite, ma non sanno chi furono i fratelli Cervi. Non sanno chi fu quel giovanetto della Lunigiana che, crocifisso ad una pianta perché non voleva rivelare i nomi dei compagni, rispose: «Li conoscerete quando verranno a vendicarmi», e altro non disse. Non sanno chi fu quel vecchio contadino che, vedendo dal suo campo i tedeschi che si preparavano a fucilare un gruppo di giovani partigiani trovati nascosti in un fienile, lasciò la sua vanga tra le zolle e si fece avanti dicendo: «Sono io che li ho nascosti (e non era vero), fucilate me che sono vecchio e lasciate la vita a questi ragazzi». Non sanno come si chiama colui che, imprigionato, temendo di non resistere alle torture, si tagliò con una lametta da rasoio le corde vocali per non parlare. E non parlò. Non sanno come si chiama quell'adolescente che, condannato alla fucilazione, si rivolse all'improvviso verso uno dei soldati tedeschi che stavano per fucilarlo, lo baciò sorridente dicendogli: «Muoio anche per te… viva la Germania libera!». Tutto questo i ragazzi non lo sanno: o forse imparano, su ignobili testi di storia messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra, esaltazione del fascismo ed oltraggi alla Resistenza''.
Piero Calamandrei
Dimenticati. Così si possono definire i personaggi raccontati da Piero Calamandrei. Persone che hanno vissuto, che hanno aiutato la resistenza con le loro scelte, ma che sono finite nel dimenticatoio, senza nessuno che le onorasse e ricordasse. Cos’è che determina se si merita o meno di essere ricordato? Se si merita di emergere dalla storia e di sopravvivere nelle memorie delle persone, o di affondare assieme ad essa?
C’è chi viene commemorato, c’è chi viene scordato. C’è chi sopravvive, e c’è chi muore. È un ciclo che si ripete nel tempo, cambia solamente lo scenario e l’ambientazione. Ma cosa determina davvero il valore e l’importanza che rimane ad un uomo anche dopo la sua morte?
I Cervi erano 7 fratelli, di età differente tra loro, nati in una famiglia umile di contadini, con ideali profondamente antifascisti, radicati nella famiglia già dal secolo precedente. Grazie al clima in cui crescono, ben presto aderiscono a vari movimenti antifascisti, per poi far parte infine della Resistenza. Oltre ad essere 7 maschi e 2 genitori, la famiglia Cervi è composta anche da altre 2 ragazze. Inizialmente la famiglia abita a Gattatico, un piccolo paesello in provincia di Reggio-Emilia, per poi trasferirsi a Campegine, un altro comune sempre in provincia di Reggio-Emilia, vicino comunque al paesino precedente.
Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale il dissenso di questa famiglia verso il fascismo si fa sentire, e diventa rapidamente anche il rifugio e il salvataggio di molti partigiani. Infatti il padre Alcide e i figli maschi fonderanno poi la “Banda Cervi”, che aiuterà tutti i “ribelli” che necessitano di cure, di un letto, di un pasto caldo… Alimenterà la Resistenza senza le armi, bensì con il contributo attivo che darà nelle retrovie.
La famiglia Cervi aiuterà soldati russi, prigionieri di guerra scappati dalle carceri nazifasciste. A causa del tradimento di uno di loro però, la Resistenza emiliana subirà perdite e danni, poiché, per l’appunto un soldato russo, dopo essere scappato dalla cascina dei Cervi, andrà a riferire ai nazisti tutti i complotti contro di essi.
Una famiglia a stretto contatto con i Cervi, era la famiglia Sarzi. Provenienti dai dintorni di Mantova, Lucia, Otello e Gigliola Sarzi parteciperanno alla Resistenza a fianco alla famiglia Cervi, aiutandoli quando possibile.
Nonostante riescano a nascondersi, a non farsi trovare dai fascisti e a celare le proprie attività antifasciste, la notte tra il 24 e il 25 novembre del ‘43, in casa dei Cervi vengono trovati dei prigionieri russi, un traditore della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, Dante Castellucci e Quarto Murri, entrambi due antifascisti che combattevano questo partito. Il traditore e Castellucci furono uccisi prima di Murri e dei fratelli Cervi, che si sono visti strappare la vita nella fredda mattinata del 28 dicembre dello stesso anno. Vennero fucilati al poligono di tiro di Reggio-Emilia, alle 6.30 del mattino.
Il padre Alcide, che era stato incarcerato assieme ai figli il 25 novembre al carcere politico dei Servi a Reggio-Emilia, riesce a fuggire in seguito ad un bombardamento, e apprenderà solo in seguito della tragica fine dei suoi figli.
I fratelli Cervi sono solo i protagonisti di questa storia, e il pretesto per poter parlare delle altre mille storie simili avvenute nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Sono storie senza un volto, che forse noi non conosciamo, ma che le persone che le hanno vissute avrebbero potuto raccontare, o hanno raccontato senza essere molto ascoltate.
Calamandrei racconta di un ragazzo che pur di non tradire i propri compagni e rinnegare ciò per cui aveva lottato fino alla morte, tace. Apre bocca solo per dire “Li conoscerete quando verranno a vendicarmi”. Una promessa, un giuramento di vendetta, probabilmente detto tra un sospiro doloroso e l’altro, conoscendo i tragici destini conservati ai ribelli. Questo ragazzo è l’incarnazione della persistenza, ed è un possibile simbolo di ciò che era la Resistenza durante quegli anni: un fronte unito e compatto, dove non c’era né tempo né luogo per tradire il proprio gruppo. Questo ragazzo che per noi è senza identità, poiché sappiamo poco e niente su di lui, ha resistito fino alla fine dei suoi giorni, senza mai piegarsi di fronte alla violenza fascista, donando la propria vita per ciò per cui stava lottando, quasi come un martire. Un volto senza nome per noi, una sorta di Milite ignoto, ma la salvezza di chissà quanti partigiani. Il suo silenzio e la sua persistenza sono da ammirare, e certamente la sua morte sarà stata vendicata, come del resto giura davanti ai suoi “carcerieri”.
Poi vi è la storia di un semplice contadino, che svolgendo il suo lavoro, si imbatte in un gruppo di ragazzi ribelli che stavano per essere fucilati dai tedeschi. E senza pensarci due volte, senza avere la minima vacillazione, va dai nazisti e si addossa tutte le colpe, pur di non far ammazzare dei ragazzi che stavano lottando per la Libertà dell’Italia. In questo gesto io vedo la solidarietà, la fratellanza che c’era tra gli italiani in quel periodo. Nonostante non ci si potesse fidare di nessuno, paradossalmente ci si aiutava di più, si era più compatti. Il sacrificio di quest’uomo che non ha imbracciato un’arma, ma ha combattuto sacrificandosi, salvando quei ragazzi che rendevano viva la Resistenza italiana. Il sacrificio di quest’uomo, a noi ignoto, forse ha fatto la differenza. Chissà se invece quei ragazzi fossero morti cosa sarebbe accaduto. Se anche una minima parte della nostra storia sarebbe potuta essere diversa, cambiata da questo avvenimento. La storia è l’insieme di queste scelte che non sempre vediamo. Anzi, più sono in profondità e meno visibili, più sono importanti e significative. La storia è composta da tutte queste persone senza un nome o senza un volto, che attraverso la strada che hanno deciso di intraprendere, hanno permesso a noi di essere chi oggi siamo.
La narrazione prosegue, e il protagonista di questo aneddoto è un ragazzo senza nome, che pur di non parlare e rinnegare i suoi compagni si è tagliato le corde vocali. Chissà come saranno stati tormentosi gli attimi che hanno preceduto questa azione. Le paure, i timori, le riluttanze, ma allo stesso tempo anche le convinzioni e le sicurezze.
Un po’ come il contadino di Lussu, l’angoscia, la sofferenza e l’inquietudine che caratterizzano i momenti precedenti ad una scelta che ci è costata molto. Il contadino di Lussu si trova davanti ad un bivio: contrastare il regime che si stava instaurando in quegli anni, diventando un dissidente, ed automaticamente un pericolo per la comunità; oppure pensare prima alla propria incolumità e a quella della propria famiglia, decidendo di sottomettersi e di acconsentire a tutti gli orrori messi in campo dai fascisti.
Sono entrambe scelte difficili, che comportano una lunga e dura riflessione con noi stessi, che ci costano molto, ma che dobbiamo prendere. Alla fine dobbiamo sempre scegliere da che parte stare, e la fazione scelta da questi due personaggi è più che chiara.
Non sappiamo quale sia l’identità di quel ragazzo che poco prima della sua fucilazione si rivolse al soldato, lo baciò e gli disse “Muoio anche per te… Viva la Germania libera!” Un ragazzo che ha lasciato la vita terrena in pace con se stesso e con le persone attorno a sé. Un ragazzo che mentre faceva i conti con la morte non si è portato dietro dei rancori, ma anzi! Se n’è andato amando il nemico, non disprezzandolo. Non si è abbandonato al rancore, all’odio e alla vendetta, ha perdonato. Sappiamo tutti quanto possa essere difficile perdonare chi conosciamo e amiamo, immaginiamoci perdonare un uomo di cui non si conosce nemmeno il nome e che ti sta per uccidere. Credo sia la cosa più complicata e quasi impossibile da fare per noi esseri umani, perché siamo tutti caratterizzati da una piccola nota di egoismo e di male, e per questo spesso ci risulta difficile perdonare anche chi conosciamo. Ma questo ragazzo ha trovato la forza in sé di andarsene con la coscienza pulita e limpida, in pace con se stesso, e credo non ci sia morte più bella.
Attraverso queste storie e le storie di coloro che invece sono conosciuti, riusciamo a capire quanto la guerra sia sfaccettata, e con essa la Resistenza. Esistono più modi per resistere. si può imbracciare un’arma e andare a combattere in prima lineo contro i nemici; si può stare nelle retrovie a curare ed aiutare chi invece va e si scontra in prima linea; c’è chi invece protegge i ribelli con le parole, come il contadino che si è sacrificato per quel gruppo di ragazzi; c’è chi invece deve nascondersi, come Don Primo Mazzolari, che era diventato un pericolo siccome “combatteva” con le parole, esponendo il proprio pensiero e divulgandolo. Ci sono tanti modi per far fronte ad una situazione come la guerra. Ognuno a modo proprio ha tentato di dare un contributo alla Resistenza, e se oggi siamo arrivati a vivere in un Paese libero e democratico è grazie ad ogni singola persona che si è sacrificata, chi dando la vita, chi lottando fino allo sfinimento, chi divulgando gli ideali, chi mettendo a disposizione la propria cascina, come la famiglia di Martina nel film “L’uomo che verrà”, che nonostante i tedeschi nazisti che si aggiravano per i colli emiliani, ha dato alloggio a tanti partigiani. Tutti quanti hanno rischiato la propria vita per poterci dare ciò che oggi consideriamo così banale, bisogna quindi essere grati e apprezzare la vita che oggi abbiamo, perché essa è frutto di tutte le persone che si sono sacrificate nonostante sapessero a cosa stessero andando incontro.
Come ho già detto la storia è composta da miriadi di storie che non sempre trovano un volto o un nome, che non sempre vengono catalogate, ma noi dobbiamo essere coscienti della loro esistenza, perché le storie con un nome ed un cognome, con un volto, sono solo il simbolo di ciò che è successo del periodo di guerra. Hanno solo lo scopo di dimostrare a noi che siamo venuti dopo ciò che è accaduto.
Ma tanti sono i racconti a noi ignoti che invece meriterebbero di essere conosciuti. Ad oggi però credo che possa bastare anche solo la consapevolezza. La consapevolezza del fatto che c’è stato altro e che dietro a ciò che noi chiamiamo “Resistenza” ci sono persone senza un’identità, senza un volto, senza un nome, senza un riconoscimento. E noi dobbiamo onorare la loro memoria, cosicché essa non venga sommersa dall’indomabile onda che la storia è.
Ecaterina Gidioi