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RACCONTANDO LA PRIMAVERA 

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“Vivo di suoni, di voci, di sussurri di foglie, di canti d’uccelli.”

 

La citazione è tratta da “Diario di una Primavera”, il più personale tra i tanti libri scritti da Don Primo Mazzolari, in questo caso, nella primavera del 1945. La guerra sta per concludersi e gli Alleati risalgono l’Italia per liberarla dai Tedeschi nazisti e fascisti italiani. E, dalla finestra socchiusa della canonica di Bozzolo, un occhio goloso di vita osserva l’alternarsi delle stagioni: il declino dell’autunno e dell’inverno che cedono il posto al rinascere della natura, la Primavera. Il diario, lasciato da Don Primo, è un abisso d’informazioni che, nella semplicità di considerazioni e pensieri di un uomo in trappola, racconta uno dei periodi storici più cupi per l’umanità: la seconda guerra mondiale. Don Primo aiuta il lettore a comprendere la situazione, le emozioni di persone che hanno vissuto la guerra da un Paese come Bozzolo. Leggendo il “Diario” mi è stato impossibile non sentirmi anch’io in trappola come Don Mazzolari. Una trappola subdola che ti fa ascoltare la vita come un dono, ma che non te la fa vivere come desideri.

Lui, dalla finestra, osserva lo svegliarsi della natura. “Un pipistrello svolazza. Pare ubriaco. Dopo tanto dormire è ubriaco di luce.”

Una natura che comunica rinascita. Col suo “Diario” Mazzolari sceglie cosa far vedere al lettore tramite i suoi occhi. Non si limita a raccontarci le sue giornate, ma ci fa vivere ciò che lui vede. Dallo schiudersi di un fiore al primo volo di un passero. Don Primo Mazzolari nel suo rifugio si abbandona alla sinfonia della primavera portandoci sulle note della sua canzone. E, col “Diario”, abbandona il suo cuore alle parole scritte con inchiostro facendoci comprendere le sue paure e traumi.

“Stride la sirena (…). Arrivano gli americani (…), ma non è un sollievo vederli andare. Tutto è sacro come qui, ogni vita è sacra come qui, ogni casa. Eppure il respiro s’acquieta involontariamente”.

La paura del “diverso”, nonostante sia tuo alleato, si capisce in queste parole. Mazzolari è abituato a tacere nelle notti di guerra che, per istinto, s’acquieta anche all’arrivo degli Americani, gli “amici”. Ma, nonostante ciò, la paura spera incondizionatamente nella fine della guerra. Perché ogni cosa brutta finisce? Chiede aiuto a Dio, suo Signore, e continua a sperare nel dono della pace illudendosi del suo arrivo per non crollare. Da solo, emarginato volontariamente dalla società, continua a confidare in Dio. La rabbia, la disperazione per ciò che sta passando, seppur presenti, non sembrano scalfire la sua fede. Questo mi ha molto colpito, perché a lui è bastato mettersi in armonia con l’addivieni delle stagioni per non abbandonarsi alla disperazione. Sembra, dalle sue parole, che la guerra e la natura parlino ad un'unica voce. Don Primo non si lascia scalfire dalle notizie di guerra, piuttosto osserva il cielo vedendoci il suo Dio e gli episodi bellici più cruenti. Aspetta allettante che il Signore faccia spegnere i fucili arrabbiandosi con lui, ma ciò non accade. In queste pagine di Diario si vede un prete “anomalo” che non rispetta i nostri criteri di sacerdote. Don Mazzolari è un uomo abituato a essere libero, che passa le giornate in bici pedalando per la campagna bozzolese portando la parola di Dio nelle case delle persone e, quando si ritrova in gabbia non sta bene. Si sente pressato e incolpa, in alcuni casi, il Signore, del suo destino.  

“Nessuna rondine, ancora. Verranno con la Pace” e “non importa: è la rondine, la prima rondine: una fedeltà, una speranza.”

È in una rondine che Mazzolari pone la sua speranza, il suo bisogno di tornare a vivere, come fa la primavera ogni mese di marzo. Ma, è alla fine del diario che il prete racconta al lettore il suo desiderio più grande: la libertà. Con una frase si spoglia di tutte le incertezze.

“La liberazione non è sempre la libertà sognata”.

Mazzolari desidera scappare da quella stanza dove era rinchiuso, da tutto per essere libero, ma quando riesce a uscire dalla trappola si accorge che bisogna ricostruire dalle macerie e che ciò che ha passato non può essere dimenticato. Per questo non potrà mai essere veramente libero, sarà sempre ancorata al passato dai queste pagine di Diario e dai ricordi. Un diario in cui si specchia la figura “umana” di Mazzolari, non più soltanto prete, ma anche uomo.

Penso che per conoscere veramente una persona occorre leggere i suoi diari. Io mi sono ritrovata molto in quelle parole, dove mi sembrava di vivere veramente ciò che lui provava. La primavera, con i suoi suoni e colori, ha salvato Mazzolari senza abbandonarlo alla solitudine. La comunicazione in questo diario è il cinguettio di un uccello, la nascita di un pettirosso, il cambiamento del vento, l’unica straordinaria sinfonia che Mazzolari riesce a imprimere nelle pagine di un diario. Un diario che è uno specchio per l’anima del prete e dell’uomo.

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Giorgia Maroli

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