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ANNA, LA MUSICA DELLE RADICI

Intervista ad Anna Kravtchenko

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Sappiamo bene tutti quanti il travagliato e doloroso presente con cui l'Ucraina sta facendo i conti da mesi ormai, anche adesso mentre noi stiamo scrivendo e mentre voi state leggendo. Noi, la redazione di Increscendo, abbiamo avuto l'onore e la fortuna di poter intervistare quasi subito dopo lo scoppio di questa guerra, una pianista ucraina di fama mondiale: Anna Kravtchenko. Da un giorno all'altro lei ha visto la sua casa cadere in frantumi, le sue radici "sradicate" e amici e familiari sfollati.
Abbiamo quindi raccolto una serie di domande, curiosità non solo sulla guerra che lei sta vivendo in modo particolare, date le sue origini, ma anche sulla sua persona e sulla sua storia.

1. Abbiamo letto molti articoli su di lei, ci siamo informati in modo generale sulla sua storia. Come si è sentita, a soli 16 anni, a vincere il premio del concorso "Ferruccio Busoni", premio che non veniva assegnato a nessuno da circa 5 anni?

Mi sono trovata molto bene. Studiavo tantissimo e lo desideravo molto. L’ho voluto a tutti i costi, per me era un grande sogno. Quando sono partita da Kharkiv, la mia città natale, per venire in Italia, a Bolzano, ho scritto su un foglietto “Io vincerò!”. Ero una guerriera. La giovinezza mi dava un coraggio assoluto, una sorta di immunità sfrontata ed invincibile. È stato un miracolo.


2. Com’è iniziato il suo rapporto con la musica? Chi o cosa l’ha portata ad appassionarsi e a scegliere di studiare uno strumento?

Mia mamma mi aveva comprato un pianoforte, sperando banalmente che un giorno io avrei imparato a suonarlo, e poi ad insegnarlo. Un’ambizione molto normale. In quel momento della mia vita, lei decise per me. Io non volevo suonare, cercavo di sfuggire in ogni modo allo strumento, ma lei era severa e mi obbligava a studiare. Poi, lentamente, grazie ad un insegnante molto appassionato e bravo, ho scoperto un mondo, che altrimenti non mi si sarebbe mai rivelato. L'approccio del mio maestro mi ha aperto la possibilità di scoprire l’universo della musica. Lui era un docente straordinario, a cui devo tutto, o quasi. Ricordo che mi commuoveva ogni volta che andavo a lezione da lui. Il ruolo del maestro è fondamentale sia per le conoscenze che trasmette che per la passione che veicola, quindi uegli determina gran parte del tuo percorso iniziale.


3. Secondo lei, che importanza può avere per un bambino crescere accompagnato dalla musica?

Domanda difficile. Posso rispondere per me. Ad un certo punto scatta un passaggio, un clic con cui scatta l’incanto. Ma è, e rimane, un mistero. Dipende da molti fattori: insegnante, stimoli esterni, formazione ed informazione dell’allievo, curiosità... Lentamente, suonando capisci che puoi realizzare soluzioni, espressioni: puoi esprimerti e fare qualcosa di bello. Creare un mondo dal nulla, un mondo che cambia davanti a te.


4. Se nella vita di Anna Kravtchenko non fosse entrata la musica, lei come avrebbe espresso la sua sensibilità?

Molto probabilemente sarei stata una fotografa o una regista. Catturare il momento, trovare la bellezza nell’istante sarebbe stata la mia ossessione, esattamente come lo è nella musica.


5. Quali sacrifici ha dovuto affrontare in nome della musica? Chi ha rappresentato per lei un punto di riferimento?

Un punto di riferimento erano i libri. Una volta appassionatami, mi piaceva trovare gli spunti giusti. Alla vostra età leggevo tantissimo, e ascoltavo moltissimo, con vera ingordigia. Dischi, vinili che la mia mamma mi acquistava. Haifez, Pavarotti, i grandi interpreti, non importava se violinisti, pianisti, cantanti.
Quanto ai sacrifici, quando inizi ad appassionarti davvero a qualcosa non li senti in modo così forte. Non mi ha mai pesato. Anche adesso, quando posso studio tantissimo perché così mi sento in pace, felice. Una felicità che dà una serenità unica. Da un lato perché la musica è bellissima, dall’altro perché puoi creare, conquistare sia tecnicamente che artisticamente nuova consapevolezza.



6.Cosa continua ad affascinarla della musica? Che importanza pensa che possa rappresentare ciò che Lei dice suonando a chi l’ascolta?

Io non so cosa mi leghi ancora alla musica. Qualche raggio divino che mi guida. Ho sempre fatto questo e, come sapete, trovare qualcosa che ti piace ti fa sentire al posto giusto e determina un “per sempre”. La musica è un ruscello di acqua purissima, infinita. Finché sarò viva suonerò. Per chiunque. Per gli appassionati - meno scientifici ma spesso molto intuitivi -, per gli addetti ai lavori. Il mio obiettivo è suonare e mettere d’accordo tutti, riuscire ad arrivare a loro, e commuovere. Cerco sempre un lato emotivo in quello che suono. La musica non è meccanica ma emozione, piacere, un divertimento dello spirito. Con la musica cerco, nel mio piccolo, di incoraggiare le persone ad essere migliori.


7. Come si sente quando sale su un palco? Prevale la paura o la gioia di condividere la musica?

Io sono molto emotiva ed ho sempre paura. Di cosa? Di dimenticare, di non riuscire a portare in luce quel che voglio, di sbagliare. A volte mi tremano le gambe e le mani. Una volta sul palco però questo terrore mi passa e dopo sono felicissima. Centinaia di persone che ti guardano sono una responsabilità. Alcune sale tengono 2500 posti come il Concertgebow di Amsterdam. In ogni concerto racconto in breve la mia vita: le emozioni, il lavoro, le riflessioni. Non è possibile svolgere questo lavoro come se fosse un normale impiego.


8. La sua carriera la porta a vivere molto tempo fuori casa. Ha nostalgia di casa quando è in tournée?

Non della casa ma delle persone amate, degli oggetti, delle sensazioni che ti fanno sentire a casa. Viaggiare ti porta tanta solitudine e tu sul palco devi portare certezze, affermazioni, sicurezze. Devo quindi nascondere la mia tristezza, la mia fragilità. Portare questo peso non è sempre facile. Come un generale, il musicista si sente prevalentemente solo, ma c’è anche una bellezza in questo: ti permette di scavare dentro se stessi.


9. Cosa le manca della sua Ucraina? Come la ricorda? Ci sono dei luoghi che ha particolarmente nel cuore?

Dell’Ucraina ricordo cose bellissime. Io ho avuto un’infanzia davvero felice: studiavo musica e i genitori stravedevano per me; insieme andavamo in vacanza, ai musei, a passeggio. Ricordo la bellezza della mia città meravigliosa, piena di parchi. Quando ho vinto il Concorso Busoni, per discorsi politici, le persone ucraine non potevano viaggiare ad ovest senza un visto specifico. Così, per evitare di dover fare continuamente la spola con Kiev, sono venuta a studiare ad Imola ed ho ottenuto un visto permanente. Ho dovuto abbandonare la mia casa per motivi di lavoro. Recentemente ho ritrovato mia cugina, oggi residente a Leopoli. Non posso pensare che tutta la mia memoria non esista più. Ho il cuore spezzato.


10. Kharkiv è la sua città natale; non possiamo evitare di chiederle come si è sentita quando, lo scorso 24 febbraio, i TG del mondo hanno annunciato l’invasione delle truppe russe sul territorio delle sue origini. Qual è stato il suo primo pensiero e quali sono state le prime persone a cui ha pensato? parenti, amici, conoscenti…

Il primo pensiero è stata una tristezza immensa che mi ha investito. Un colpo al cuore. Una cosa terribile. Per le persone, per i miei amici, i conoscenti. Ho avuto una grandissima paura ed ho iniziato a chiamare tutti i miei conoscenti. Non riuscivo a dormire.


11. In particolare, può la musica aiutare il suo Paese in questo momento così tragico? Se sì, in che modo?

Certo, anche nella seconda guerra mondiale lo si faceva. Quando una persona suona, chi è lì e ascolta entra in un’altra dimensione. La musica dà coraggio e speranza. Solleva lo spirito. Crea comunità e appartenenza. Suscita sentimenti di pietà e di umanità.


12. Cosa pensa dei tanti musicisti che in questi giorni di bombardamenti, di fame, di paura e di morte sfidano le bombe e suonano nelle piazze, nei bunker, nelle metropolitane?

Penso che sia un’idea straordinaria e necessaria. Si spera che la musica porti la pace. La musica non è un’arma fisica, ma un’energia fortissima, è un sentimento inarrestabile. Poi però devono essere i politici a fare il resto. Non devono essere i tiranni e folli.


13. Lei è anche docente di tanti ragazzi. Cosa significa per lei occuparsi del loro talento, uno diverso dall’altro, ed aiutarli a crescere come persone e come artisti?

Il ruolo dell’insegnante è fondamentale. Io seguo ragazzi per un lungo percorso. Nella mia classe ci sono allievi piccoli ed altri più grandi. Alcuni di loro sono rimasti per tanto tempo; si finisce così per insieme.
Si cerca di individuare il lato migliore di un ragazzo e di portarlo al massimo delle sue capacità. Io ho iniziato a 21 anni ad insegnare. Adesso ne ho 46. Ho imparato molte cose dai ragazzi con cui ho
lavorato, ad esempio che bisogna dare molto spazio a loro e alle loro proposte. Non è l’opera di un
giardiniere che dice alla pianta come crescere; occorre cogliere ciò che il ragazzo desidera, ascoltare i desideri, le aspirazioni. L’insegnamento è dare una parte di sé. Diventi un parente per i tuoi alunni. È normale. Si entra in un’intimità forte. L’adulto dà la sua impronta, trasmette, affida. Un ruolo straordinario e magnifico. In Giappone quando vedono un insegnante si inchinano, debitori del suo sapere. Una lezione straordinaria.

 

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Ecaterina Gidioi
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